Blog nato per condividere tutto quello che le mie "modeste" doti artistiche mi permettono di fare che siano esse recensioni, disegni, racconti e quant'altro.
Ciao a tutti, mi è appena giunta una nuova recensione su Ritorno a Breuddwyd e non vedevo l’ora di condividerla con voi.
Grazie a L’Aura del blog Leggi, mangia, viaggia per aver letto e recensito il mio romanzo, per averlo capito e amato, e soprattutto per aver empatizzato col mio Christopher. ♥ Potete leggere la sua recensione cliccando —> QUI
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Ciao amici, si ritorna a parlare di manga con una storia dolcissima sui legami di sangue e le difficoltà della vita.
I quattro fratelli Yuzuki di Shizuki Fujisawa narra la storia di Hayato, Mikoto, Makoto e Gakuto, quattro fratelli che resteranno presto orfani e saranno costretti a crescere da soli sotto la supervisione di Hayato, il maggiore e unico adulto in casa, difatti Mikoto, Makoto e Gakuto frequentano ancora la scuola: i primi due sono alle medie, l’ultimo frequenta la prima elementare.
Inutile dire che per il giovane Hayato non è facile crescere tre bambini praticamente da solo districandosi tra il lavoro fuori casa e le incombenze che qualsiasi casalinga ha all’interno delle quattro mura domestiche ma, nonostante le mille difficoltà, Hayato non si vuole arrendere, non vuole che separarsi da loro, e neanche quando gli viene proposto di mandare da un parente almeno Gakuto, il più piccino e di conseguenza più desideroso di attenzioni, ha accettato: loro sono una famiglia e sarebbero rimasti tali!!
Ma Hayato non è completamente solo, può contare sull’anziano vicino di casa e sua figlia, una poliziotta che cresce da sola i suoi due bambini: Uta, che ha l’età di Minato e Waka, coetaneo di Gaku. E così tra difficoltà, momenti di dolcezza, rivalità e a volte incomprensioni, la vita di questi quattro orfani vi verrà narrata con delicata sapienza grazie anche a un tratto stilistico molto grazioso e delicato.
Edito in Italia da j.pop, attualmente in patria sono stati pubblicati 13 volumi e l’opera è ancora in corso, mentre nel nostro paese è da poco uscito il quinto.
Cosa ne penso?
Beh, come già detto su, per ora la storia è molto tenera, ma condita delle classiche situazioni agrodolci che possono esistere quando c’è di mezzo un rapporto tra fratelli: liti per sciocchezze, piccoli dissapori, gelosie, ma anche voglia di rendersi utile, o più semplicemente non essere inferiore e/o degno delle aspettative altrui.
E’ un manga delicato sia come storia che come disegni. La sensei Fujisawa è già nota al pubblico italiano, suoi sono difatti anche “Accanto a te“, edito da GP e “Hatsu Haru“, Star comics. Il suo tratto è molto morbido, delicato, contraddistinto da occhioni molto espressivi che personalmente ho trovato un po’ esagerati in Hatsu Haru, tuttavia, questo piccolo particolare si è molto ridimensionato ne “I quattro fratelli Yuzuki“, rendendo la mia lettura più piacevole e appagante.
“Ciò che da sapore alla vita sono le cose semplici, le dolci cose fondamentali come l’amore, il dovere, il lavoro, il riposo, il vivere vicino alla natura.”
[Laura Ingalls Wilder]
Ciao a tutti! Finalmente dopo secoli torno a parlare di letture. “Laura Ingalls Wilder – una storia vera” è la traduzione italiana di un’autorizzazione pubblicata in America da Sophie Zeugin e tradotta in italiano da Laura Carolina Bellini.
Eccovi di seguito la trama tratta direttamente da Amazon: Finalmente una biografia in italiano! Una biografia avvincente, documentata e completata da numerose foto. Scoprite l’affascinante vita di Laura Ingalls Wilder, pioniera, insegnante, contadina, ma anche banchiera, giornalista e autrice di successo. La biografia che i fan de La casa nella prateria stavano aspettando. Sophie Zeugin ci accompagna alla scoperta della vera storia di Laura Ingalls Wilder, la bambina birichina della famosa serie televisiva, ancora in onda a quasi 50 anni dalla sua prima apparizione sui nostri schermi avvenuta nel 1977. Basato sulle più recenti ricerche documentarie pubblicate negli Stati Uniti e riccamente illustrato con fotografie d’epoca, Laura Ingalls Wilder, Una storia vera rivela una Laura insospettabile, dove la violenza del Midwest americano del XIX secolo è tenuta a bada solo dall’amore, dalla dignità e dal coraggio dei suoi genitori, Charles e Caroline. “Ho amato i libri di Laura Ingalls Wilder quando ero bambina, e poi ho sposato la serie. Anche se la trama è molto diversa da quella dei libri, i valori che vengono proposti sono gli stessi: l’importanza della famiglia, della comunità, dell’amore, del coraggio e della tenacia. Valori che ci parlano a ogni epoca”, afferma l’autrice, Sophie Zeugin. In questo libro, scopriamo una Laura appassionata che dichiara il suo amore per Almanzo con poesie romantiche: «Da sola! Mi sento così sola senza di te, Un giorno è come un altro. Per te, amore mio, Non riesco più a vederti, Non sento più i tuoi passi, Forte e libero. Oh amore mio, ovunque tu sia (…) Vieni ti sto chiamando». E un Almanzo che ritarda l’orologio nel salotto degli Ingalls per poter restare più a lungo con la sua bella. Il lettore condividerà l’angoscia di Laura, madre amorevole e afflitta dal dolore, ma anche il suo coraggio e la sua determinazione di fronte alla paralisi del marito. Il libro ci permette di accompagnare Laura e Almanzo quando, dopo aver perso tutto, ripartono da zero e si trasferiscono nella fattoria dove vivranno fino alla fine dei loro giorni. Almanzo trasformerà questa fattoria nella casa dei suoi sogni e Laura scriverà la versione romanzata della sua vita in 9 volumi. Negli Stati Uniti diventeranno dei best-seller, che le daranno fama mondiale quando saranno adattati da Michael Landon nella serie televisiva.
Una delle foto presenti nel libro che ritrae la famiglia Ingalls al completo.
Cosa ne penso? Se come me amate le storie basate su fatti e persone realmente esistiti o siete affezionati alla serie televisiva che ormai da decenni viene trasmessa in loop sulle reti nazionali, questo libro rappresenta una sorta di Santo Graal de La casa nella prateria.
Ci sono fatti, comparazioni, foto d’epoca che ritraggono i vari componenti della famiglia Ingalls negli anni, curiosità… Insomma tutto quello che c’è da sapere su una delle famiglie pioniere che hanno fatto la storia. Laura Ingalls Wilder – una storia vera, è una lettura scorrevole, interessante e piena di spunti.
Ci sono delle pecche?
Ahimè, sì.
In quanto autoproduzione mostra qualche lacuna a livello grammaticale e di impaginazione, il font usato è eccessivamente grande (io ho acquistato la versione cartacea) al punto che con uno di un’unità inferiore, probabilmente, il libro avrebbe avuto almeno un centinaio di pagine in meno, ma… sinceramente? Chissenefrega!! E questa cosa l’affermo con condizione di causa. Anch’io scrivo in self, anche nei miei romanzi può capitare un errore, dopotutto nessuno è perfetto e questo non lo dico io per tirare l’acqua al mio mulino, lo dimostrano con i fatti alcune grandi case editrici del settore. Parlo di mostri sacri come Einaudi o Feltrinelli (solo per citarne alcuni) dove in alcune pubblicazioni, ho personalmente trovato errori di battitura e/o grammaticali, ma alla fine cosa me ne frega da lettore se manca una virgola o se dopo in punto non trovo la maiuscola? Può far storcere il naso, certo, ma se mi interessa la storia, se sono presa da quello che sto leggendo, vado oltre!
Sono stupida io a pensarla così?
Forse, ma non mi importa.
Diciamo che se non dovessi farmi condizionare da questi pensieri direi sicuramente che il libro in sé è da cinque stelle piene, quattro, se voglio dare peso a quei piccoli difetti sopracitati. 😉
In conclusione… Se siete innamorati del mondo di Laura Ingalls, se avete amato i suoi romanzi o visto la serie tv, non potete farvi sfuggire questa piccola perla, diversamente, sarebbe un modo costruttivo e diverso per conoscere le realtà in cui vivevano una volta, la semplicità e la felicità che si poteva trovare nelle piccole cose, quando non si possedeva molto a livello materiale, ma si era sicuramente più ricchi nell’anima.
Consigliato! ❤️❤️❤️
Shio ♥
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Buongiorno amici, dopo settimane di latitanza, torno a farmi viva con una nuova recensione di un manga che mi ha lasciato uno strano gusto agrodolce in bocca e tanta tenerezza nel cuore, almeno per il personaggio di Takopi. ♥
Ma di cosa parla Takopi’s original sin?
Takopi (che per comodità continuerò a chiamare così visto che il suo vero nome è impossibile per me da ricordare) è un alieno del pianeta Happy dall’aspetto di un piccolo polipo, difatti, in giapponese, polipo si dice tako (たこ) e dato che questa piccola creatura finisce ogni frase con la sillaba “PI”, viene ribattezzato dall’umana che lo trova TAKOPI.
Il piccolo alieno ha lasciato il suo pianeta per portare un po’ di felicità nel mondo e in particolare sulla Terra dove s’imbatte in Shizuka che lui chiama affettuosamente dolce Shizuka (lui chiama tutti dolce + nome, anche se si trovasse davanti un serial killer, sarebbe uguale! 😂). La bambina frequenta la quarta elementare e mostra da subito un grande disagio e dei seri problemi di bullismo che la portano spesso a tornare a casa piena di ferite e con l’animo schiacciato, ma il piccolo Takopi è una creatura pura che arriva da un posto dove non esiste cattiveria o violenza e non si rende conto di quanto grave sia la situazione in cui versa la bambina, nella sua innocenza, lui giustifica la violenza fisica associandola a una semplice scaramuccia tra amici che può essere risolta con il dialogo.
Ma basteranno semplicemente le parole a salvare la piccola Shizuka dalla crudele realtà?
Saprà Takopi, attraverso i suoi “gadget happy” ad aiutare la dolce Shizuka?
Per scoprirlo dovrete leggere questa storia che conta solo due volumetti venduti anche in cofanetto con in omaggio due card e un adorabile portachiavi di Takopi. ♥
Cosa ne penso?
Già immagino le vostre faccette un po’ perplesse perché sembra che vi ho descritto più o meno la trama di qualche majokko (storia di maghette tipo Creamy, Magica Emi, ecc… ecc…) ma Takopi’s original sin è tutto un altro mondo! Si parla di bullismo, abbandono, violenza domestica, violenza a scuole, violenza psicologica… questo manga è un vero pugno nello stomaco, una storia che denuncia una tragica realtà molto contemporanea dove spesso i bambini sono costretti a sobbarcarsi i problemi degli adulti, diventando delle vittime. Parla di fragilità mentale, di quanto i genitori, attraverso le loro aspettative, distruggano la psiche dei loro piccoli condannandoli a un limbo di insicurezza e paure, sempre alla perenne ricerca di un modo per appagare la propria figura genitoriale.
Se si guarda oltre l’apparenza, questo è un manga che dovrebbero leggere soprattutto gli adulti che spesso non si rendono conto delle responsabilità e del dolore che infondono nei loro figli, dannandoli.
Attraverso un tratto molto dolce che ti riporta all’innocenza e alla purezza, Taizan5 ha saputo narrare una vicenda che di dolce ha ben poco.
In questa storia ci sono tre bambini: Shizuka, Marina e Azuma, e tutti e tre soffrono in una realtà che li sta annullando. Sono bambini, frequentano la quarta elementare, è un’età dove dovrebbero solo pensare a giocare e fare amicizie, ma le loro esistenze sono già così colme di dolore e frustrazioni da percepire il mondo che li circonda come un enorme peso. E poi c’è lui, Takopi, una creatura pura, innocente, che se vogliamo incarna quell’innocenza che tanto si abbina ai bambini ma che quelli di questa storia ne sono sprovvisti. I modi di fare dell’alieno sono così irritanti a volte, da infastidire, ma rispecchiano quello che un bambino dovrebbe provare in questi casi. Takopi attraverso questa esperienza impara a conoscere il dolore, il senso di frustrazione, l’abbandono, e tutti quei sentimenti che portano all’autodistruzione…
E’ una storia forte.
Un manga forte.
Una storia adulta raccontata attraverso l’innocenza dei bambini che agli occhi del lettore prende le fattezze di un piccolo alieno, dolce e morbido che desidera solo infondere un po’ di felicità in una mondo dove neanche ai bambini è concesso di essere felici.
Ciao a tutti, pronti per conoscere l’ultimo film d’animazione del talentuoso Mamoru Hosoda, uscito un anno fa?
Iniziamo come sempre dalla trama e qualche premessa: prima di scrivere questa recensione, e dopo aver visto il lungometraggio, ho preferito leggere anche il romanzo, perché avevo la netta sensazione che mancasse qualcosa. Cosa? Difficile a dirlo… Ci sarò riuscita a capirlo? Per saperlo, dovrete arrivare alla fine di questa modesta recensione! 😉 Eccovi la trama in breve presa dal web: Suzu è una diciassettenne che vive nella prefettura di Kōchi insieme al padre dopo aver perso la madre da bimba. Un dolore che ancora non riesce ad accettare e metabolizzare, che non le permette di essere felice e di coltivare le sue passioni: la musica e il canto, conosciute proprio grazie alla madre.
Impressioni personali:
Belle è senz’altro ispirato al mondo di Belle de La bella e la bestia, con un alta strizzata d’occhio al famoso lungometraggio Disney, ma in cosa invece si differenziano?
Prima di scrivere questo post e non essendo rimasta completamente soddisfatta dalla visione della pellicola, ho anche letto il romanzo che potete trovare in fumetteria, edito da Planet Manga. Tuttavia, guardando questo film dall’indiscutibile impatto visivo, ho avuto la sensazione che sia stata aggiunta un po’ troppa carne al fuoco col risultato che si ha la sensazione di essersi smarriti qualche dettaglio di trama durante la visione, ed è stato un po’ deludente scoprire che non è stato affatto così. Dopo la lettura del romanzo, ho provato un senso di rassegnazione: era davvero così! Non c’era un’altra risposta, non c’era una censura, un taglio di scena per esigenze d’animazione, quello che veniva mostrato nel film corrispondeva semplicemente all’idea con cui era stata creata la storia.
Premetto…
Con questo non sto dicendo che il film sia brutto, anzi, in alcune scene ho avuto la pelle d’oca!
Sicuramente il romanzo avrebbe bisogno di un nuovo editing, aveva degli errori di battitura davvero imbarazzanti, ma lì non è colpa dell’autore ma della CE che distribuisce e stampa il prodotto. Ma la storia di per sé non è brutta, ha solo tanta roba tutta insieme.
Per farvi capire, in Belle troverete: discriminazione nei confronti di chi è diverso, isolamento, problemi adolescenziali, lutto, conflitti famigliari, violenze domestiche, ecc ecc… davvero troppa carne al fuoco che a lungo andare confondono e basta. Senza sembrare che voglia peccare di presunzione, ritengo che il sensei Hosoda avrebbe dovuto concentrarsi su soli due o tre punti salienti, soprattutto se poi il minestrone che n’è uscito, lascia un senso di vuoto.
Del sensei ho visto tutto quello che ha scritto e diretto, e devo ammettere che negli ultimi anni il suo senso di confusione nelle trame è aumentato.
Se consiglio questo film d’animazione?
Sì, sicuramente sì, perché vale già solo da un punto di vista visivo e musicale.
Le scene riempiono gli occhi, è appagante e bello da vedere, poteva essere fatto decisamente meglio, ma questo rimane un mio piccolo pensiero personale che non toglie nulla alla bravura del sensei (non oserei mai) o al suo duro lavoro.
Ps: In alcuni momenti mi ha ricordato Summer Wars, film che ho amato ♥ e che è sempre di Mamoru Hosoda.
A volte penso sia io a essere cambiata, o i miei gusti… lascio il giudizio finale a voi. Se vi capiterà di vederlo, fatemi sapere, mi raccomando! 🙂 ♥
Ciao amici, oggi vi parlo di anime, di una serie che ho amato alla follia fin dalle sue prime apparizioni, prima che approdasse su Netflix, quando esisteva ancora il magico mondo dei fansub, prima che venissero epurati in nome delle payTv. Questo per dirvi che Tiger & Bunny è una serie che ho amato e di cui vi ho parlato anche in altri articoli qui sul blog e ho acquistato tutta la gadgettistica possibile: dalle actione figures, alle figma, alle mug, agli artbook e, ovviamente, il manga… per cui, posso affermare con discreta presunzione che al mondo difficilmente esiste qualcuno che ami questa serie quanto l’ho amata io ed è per questo che vi dico, col cuore in mano, NON GUARDATELA!
Oddio, magari fate aumentare le visualizzazioni per non far sparire il prodotto ma poi, togliete l’audio e piuttosto fatevi una partita a Risiko, ma non guardare lo scempio di Netflix, perché di questo si tratta!
Ora, che Netflix è anche nota per rovinare tutto quello di nipponico su cui allunga le mani è noto, basti solo pensare al live action di Cowboy bebop o Shun (Andromeda nella versione italiana) dei Saint Seiya (I cavalieri dello zodiaco) che diventa donna. Si sa che ahimè non si può sicuramente accontentare tutti ma, far diventare un prodotto adulto, un ammasso fanservice anche mal assortito, no, non è giusto!
Sono scandalizzata dallo scempio effettuato: personaggi snaturati, dialoghi infantili… pg che si comportano come se fossero copie di fatto quando in verità non lo sono e dove è perennemente esistente un rapporto personale sciapo, basato spesso e volentieri sul nulla.
Un anime può e deve anche essere poco credibile a volte, ma Tiger & Bunny era la differenza in un mare di shonen tutti più o meno uguali. Loro con la loro storia adulta, i loro personaggi carismatici, erano una buona alternativa a questo anime un po’ tutti uguali dove passano il tempo a menar le mani e a sconfiggere il nuovo cattivo di turno sempre più forte del precedente.
Forse non tutti lo sanno ma questa serie è nata dopo la tragedia di Fukushima avvenuta nel 2011. In una realtà drammatica, costellata di paure e ansie per il futuro, i giapponesi hanno creato una storia di super eroi pronti a salvare il mondo da ogni catastrofe. Un pensiero sicuramente positivo che ai più può apparire sciocco, ma io l’ho amato molto. E dopo 11 anni dalla prima stagione e dopo quasi 9 anni dal secondo film, che fanno? Tirano fuori una serie dove i personaggi, nonostante siano cresciuti fisicamente sembrano essere regrediti? Dove uno dei misteri più enigmatici e affascinanti della storia: Lunatic, appare solo per due squallide puntate per poi concludere il suo arco narrativo in quella maniera così…. biiiiiiiiiiiip, mi censuro che è meglio!
Ok, respiriamo e proviamo a buttare giù i pro e i contro di questa nuova stagione.
I pro:
-Sicuramente una grafica migliorata sia nei primi piani (davvero belli), sia nei filmati delle sigle di aperture e finale.
-La opening cantata dallo storico gruppo che ha eseguito anche le altre e cioè gli UNISON SQUARE GARDEN.
-Sigle molto belle sia graficamente che per canzoni, davvero orecchiabili e graziose.
I contro:
-Dialoghi imbarazzanti e spesso inutili (ma qui potrebbe essere colpa del doppiaggio italiano)
-Personaggi spesso snaturati: ok che Barnaby nella prima stagione piangeva sempre, ma c’era un motivo, ora piange quasi a fontana e in un modo assolutamente poco degno del suo pg.
-La trasformazione in stile maghette! Forse non tutti lo sanno, ma gli eroi indossano delle tute/armature, non usano il braccialetto magico che gli trasforma!! 😡😡😡
-Il finale, che non vi rivelerò, ma lascia l’amaro in bocca.
-Lunatic! Come detto su, la questione di Lunatic era una di quelle cose che i fan aspettavano con ansia fosse risolta tra Yuri e Kotetsu, ma si riduce tutto a un paio di frasi e, per quando ho apprezzato la collaborazione tra lui e gli eroi, sinceramente, non posso accettare così a cuor leggere il suo destino. Il pg di Lunatic meritava tanto di più!!
-La completa assenza di alcune musiche caratteristiche della serie.
-La completa assenza della ragazza con lo zainetto che in tutta la prima serie incontri ovunque come il classico passante che è presente in tutte le scene.
-La presenza dei tre nuovi personaggi che non portano spessore alla storia, anzi, sono abbastanza inutili se vogliamo, senza contare che loro, essendo la novità, hanno più spazio all’interno della serie, peccato che è un continuo botta e risposta con atteggiamento e dialoghi infantili che porta ben a poco.
Preferisco fermarmi perché altrimenti vado avanti per ore e poi vi stufate di leggere. Scusatemi, ma da fan sono particolarmente arrabbiata per lo scempio attuato. La storia di per sé non è neanche male, anche se alla fine non da nessuna risposta alle tante domande che ti aveva lasciata la prima stagione, tuttavia se questo è il risultato, tanto vale che smettano di andare avanti. Anche perché temo cosa si potrebbero mai inventare di nuovo per rimediare al finale di questa stagione…
In conclusione mi sento di dire che hanno rovinato un prodotto “adulto” per renderlo più alla portata delle nuove generazioni, col risultato che hanno fatto un bel patatrac di proporzioni bibliche che non ho particolarmente amato e la cosa mi fa ancora più rabbia se si pensa che l’autore è sempre lo stesso, ma lasciamo stare…
Questa seconda stagione potrete trovarla doppiata in italiano su Netflix per una lunghezza complessiva di 25 episodi della durata di circa 25 minuti cad.
Mi secca tantissimo scriverlo ma, seppur a malincuore, e proprio perché amo troppo questa serie, ve la sconsiglio. Se siete sentimentalmente legati a questi personaggi, evitatela o potreste restarne davvero delusi. 😔😔😔 sigh.
Per quanto mi riguarda Tiger & Bunny si è concluso col secondo film: The Rising.
Questa seconda stagione?
Un incubo ad occhi aperti dopo una sbronza triste: totalmente da evitare!😠
Ciao a tutti! Dopo un po’ di periodi neri e salute precaria, forse si inizia a intravedere la luce in fondo al tunnel, e mi piacerebbe riprendere col botto, parlando di libri e di un romanzo scritto da un ex blogger che penso conosciate in molti: Alessandro Gianesini.
Questa è il terza pubblicazione di Gianesini, e finalmente mi sono decisa a leggere qualcosa di suo, visto che le ambientazioni non sono italiane e non ci sono nomi italiani: due cose che mi mettono subito addosso una monotonia che mi impedisce di apprezzare la lettura del testo. Ma torniamo a Gianesini e al suo “Je T’AIME – un amore malato”.
Di cosa parla?
Ovviamente di qualcosa di contorto, “malato” appunto, ma prima di lasciarvi alle mie impressioni personali, eccovi la trama presa direttamente da Amazon: In una Marsiglia dei nostri giorni, che fa da palcoscenico alle vicende dei protagonisti di questa storia, la bella Amelie si trova suo malgrado invischiata nella perversione di Jean Dominic, il vicino di casa, che la spia dal proprio appartamento. Il passato dell’uomo, torbido e inaccessibile, trascinerà lei e Pascal, il poliziotto che si innamora di Amelie, in un’escalation di tensione in cui si inseriranno anche altri aspetti della vita dei tre. Un romanzo che mostra quello che può essere l’amore in una versione distorta di questo sentimento, indagandone le radici e gli sviluppi. Una trama fatta di angoscia e speranza, di desiderio e passione, di tristezza e amicizia. Come si concluderà questo bizzarro e instabile triangolo amoroso?
Prima di lasciarvi alle mie impressioni puramente personali, eccovi due dati tecnici: -Titolo: Je T’AIME – un amore malato
–Autore: Alessandro Gianesini
–Editore : Gilgamesh Edizioni
–Data pubblicazione: 6 febbraio 2023
–Genere: Giallo/Thriller psicologico
–Formati disponibili: Ebook, cartaceo con copertina flessibile e cartaceo con copertina rigida – GRATIS per gli abbonati a Kindle Unlimited.
–Lunghezza stampa : 159 pagine
** Cosa ne penso? **
Sicuramente non è stata una lettura facile. Gianesini è riuscito a rendere molto concreta l’ossessione malata che aleggia in tutta la storia lasciando un senso di frustrante ambiguità. La sua scrittura è fluida e scorrevole e si sposa perfettamente con la storia che narra, sì perché è di una storia narrata che si parla: niente dialoghi, niente introspezione. Hai come la sensazione di essere uno spettatore che assiste attraverso il buco della serratura la vita di queste persone e del loro lato oscuro e malato. La storia, per quanto non è in sintonia con i miei gusti, l’ho trovata bella e ben delineata, l’unica pecca, che ho anche detto all’autore, ma che rimane comunque un giudizio puramente personale e che non toglie nulla al fascino del romanzo o alla bravura del suo autore, è la mancanza di dialoghi. Tuttavia, si può dire che sia anche il suo punto di forza! Non dico che sia facile descrivere le emozioni attraverso il dialogo, ma pensate a una storia che ne è privo? Dal mio punto di vista, non è una cosa semplice da realizzare e merita tutta la mia ammirazione.
Consiglio questo libro agli amanti del thriller psicologico, a coloro che amano le storia piene di suspance, desiderio proibito e, perché no? Anche di perversione, intesa come impulso sessuale estremo, quell’istinto che potrebbe essere in ognuno di noi ma che è spesso tenuto a freno dalla nostra razionalità.
Ciao a tutti, è tanto che non vi parlo delle mie letture, in questi mesi ne ho fatte alcune, ma alla fine vuoi per impegni, vuoi per altro, non riesco mai a dedicare un po’ di tempo per scrivere quattro righe, ma oggi il tempo voglio trovarlo, perché questo romanzo è troppo, troppo carino per non essere omaggiato e letto.
L’emporio dei piccoli miracoli è il quarto libro che leggo di Keigo Higashino, dopo “La seconda vita di Naoko”, “Il mistero del lago” e “La colpa”, eccomi di nuovo qui a raccontarvi di questo talentuoso scrittore nipponico e della sua magia.
Questa non è una storia facile da raccontare a parole, è così perfettamente intrecciata e ogni personaggio e situazione, è così ben incastrata con altre, che non si può non parlare di una storia, senza rischiare uno spoiler, perché è di storie che si tratta. L’Emporio dei piccoli miracoli, racconta tante piccole storie, una per capitolo, che unite tra loro, ne creano una ancora più unica e meravigliosa.
Tutto inizia con un gruppo di tre ladruncoli in fuga dopo il misfatto. Mentre sono alla ricerca di un rifugio dove trascorrere la notte, si imbattono nel vecchio emporio di quartiere, ormai abbandonato da anni. Qui i tre discutono sul da farsi, e proprio quando si stavano sistemando per la notte, ecco che sentono recapitare della posta, introdotta direttamente nel negozio attraverso la la buca delle lettere situata nella saracinesca. I giovani avevano scoperto del particolare passatempo dell’ex proprietario del negozio attraverso una rivista dell’epoca, secondo cui, il signor Namiya, l’anziano titolare dell’emporio, aveva intrapreso un’attività di consulenza in forma anonima che consisteva nel recapitare una missiva nella buca per la posta sulla parte anteriore del negozio a cui lui avrebbe fornito una risposta che avrebbe posizionato nella cassetta per il latte, posizionata nella parte anteriore del locale.
Curiosi, i tre giovani la aprono e la leggono la posta che è espressamente intestata all’emporio Namiya, trovandosi davanti a una richiesta di consiglio da parte di una donna che si firma “Lepre nella luna“. Attraverso uno scambio epistolare con Lepre nella luna, non solo i tre scoprono che questa donna in verità scrive dal passato, ma che le lettere che dovrebbero essere recapitate in un lasso di tempo che varia da 24h a giorni, a loro arrivano in pochi minuti.
Ma com’è possibile?
Per saperlo dovrete per forza leggere questo libro, perché non mi sarebbe possibile spiegarlo senza dovervi raccontare per filo e per segno la trama, e dato che sono intollerante agli spoiler, fatevi un regalo e, se vi piacciono le storie con intrecci e una punta di fantastica, surreale magia, L’Emporio dei piccoli miracoli è il vostro libro!
Edito da Sperling & Kupfer, il romanzo conta ben 341 pagine ricche di magia e mistero.
Cosa ne penso?
Sicuramente L’Emporio dei piccoli miracoli è stata una bellissima lettura, lo dimostra il fatto che l’ho letto tutto in pochissimi giorni, perché ne ero letteralmente innamorata. Ho adorato ogni storia, ogni intreccio, ogni piccolo miracolo scaturito da queste pagine che parlano di amore, di nuove opportunità, di gratitudine, vita e, ahimè, morte.
Tante vite che si uniscono e si incrociano tra di loro, dando la sensazione di essere parte di un disegno più grande che mi ha affascinata.
Unica nota leggermente dolente (ma questo è un mio limite) è che quando ho a che fare con romanzi che parlano di soprannaturale, tendo un po’ ad annoiarmi quando questo non si manifesta. E così spesso ho trovato pesanti le parti in cui l’autore preparava il lettore narrando la parte ordinaria della storia dei vari personaggi, fino al “miracolo“, ma a parte questa mia piccola limitazione, ritengo che questo libro sia una bellissima storia, una coccola emotiva che ti fa sentire in pace col mondo e che ti porta per certi versi a chiederti se non ci sia ancora qualcosa di buono nel prossimo.
Ciao a tutti e buon lunedì! Siamo infine giunti all’ultimo film visto la settimana scorsa, quello che avevo salvato nella mia lista da tempo e che non mi decidevo mai di guardare: La casa tra le onde, di Hiroyasu Hishida.
Qualcuno di voi conosce questo film o ne ha mai sentito parlare?
No?
Tranquilli, ci pensa la vostra Shio! ♥
Inizio col dire che questo è il secondo film del sensei Hishida, papà anche di Penguing Highway, altro film molto particolare che ho apprezzato discretamente ma di cui ahimè non ho mai avuto il tempo di parlarvi.
Ma di cosa parla La casa tra le onde?
Prima di tutto è un film d’animazione con un target molto giovane dato che i protagonisti sono bambini delle medie, ma questo non implica che non possa essere comunque visto ed apprezzato dagli adulti, anzi, per certi versi questo film ha molto da insegnare in quest’epoca contrassegnata dal consumismo e dall’abbondanza.
La storia è incentrata su Kosuke e Natsume, due bambini che per i primi anni della loro infanzia si sono ritrovati a vivere insieme nello stesso condominio in cui viveva il nono di Kosuke, crescendo di fatti insieme, in più, Natsume, arriva da una situazione famigliare molto particolare che si verrà a scoprire i corso d’opera. A inizio film tuttavia tra Kosuke e Natsume non sembra scorrere buon sangue, e i due seppur è evidente che si vogliano bene, non sembrano in grado di comunicare apertamente, a questa situazione si aggiunge la perenne gelosia isterica di Reina e l’allegra compagnia degli altri compagni del gruppo dei sei bambini che ci terranno compagnia per tutto il film; Yuzuru, Taishi e Yuri, a cui si aggiungerà anche Noppo.
Dissapori e incomprensioni sembrano al centro della storia, ma non solo. Tutto inizia quando si diffonde la notizia che nel vecchio complesso di appartamenti dove un tempo abitavano Kosuke, Natsume e le rispettive famiglie, ormai in disuso e in via di demolizione, viene avvistato il fantasma di un bambino. Incuriositi, il gruppo dei maschietti decide di indagare trovandosi a vagare in per il palazzo abbandonato e imbattendosi in Natsume e nel misterioso Noppo, a loro si aggiungono anche le altre due ragazze e il gruppo è al completo. Tra i due protagonisti nasce una discussione e una bomba d’acqua estiva arriva con la sua violenza inaudita, travolgendo tutti i presenti che nel mentre si erano spostati sulla terrazza dell’edificio.
I ragazzi si sveglieranno alla deriva, in un oceano immenso a bordo della casa che per l’occasione funge da nave, ma cos’è successo esattamente? Come mai la casa è stata trasportata in questo mare sconfinato e che fine hanno fatto tutti?
Eccovi il trailer:
Come potete vedere dal trailer, l’animazione è fluida e spettacolare, l’espressività dei personaggi, perfetta. Diciamolo, La casa tra le onde, a livello tecnico è di buona qualità, ma mi ha trasmetto una lenta agonia verso la fine.
Avete presente quando sembra che la fine non debba arrivare mai?
Ecco, a un certo punto, quando credevi di aver capito, si aggiungeva un pezzo, un tassello, un decisione presa dai personaggi che allungava il “brodo” narrativo.
Chi è Noppo l’ho capito a metà del film, tuttavia, ci metti un’infinità di tempo prima che la rivelazione ufficiale.
E’ un film brutto?
No, assolutamente, anzi, si lascia guardare.
I colori e l’animazione lasciano per certi versi incantati e la trama con tutte le sue metafore della vita, la rendono molto ricca e per nulla infantile, ma sinceramente avrei preso a schiaffoni Natsume per almeno metà del film. A un certo punto, verso la fine, volevo davvero menarla!! 😂 (ora capisco le persone che hanno odiato il mio piccolo Ed di Complicated Love 🤣🤣🤣)
Scherzi a parte, La casa tra le onde nasconde una morale molto bella e realistica. Invita al rispetto non solo delle persone, ma anche degli oggetti che ci circondato, della loro spiritualità. Nella cultura giapponese ogni cosa ha un anima, che questa sia una pianta, una sedia o una persona e per tanto va rispettata e ringraziata per il bene che ci ha fatto, per ciò che ci ha donato. In questo film spesso questa tematica si fonde con l’affetto che ci lega a una determinata cosa, a un determinato luogo e alle persone che lo hanno reso ancora più speciale. E’ sicuramente un film che va visto con il cuore e la mente aperta, consapevoli di trovarsi davanti qualcosa di speciale, soprannaturale, a cui non è possibile dare una vera spiegazione logica, ma va amato per quel che è. Le tempeste e le prove che i ragazzi affronteranno in quest’avventura alla deriva in un oceano sconfinato, a bordo di un palazzo galleggiante li farà crescere, maturare attraverso un percorso non sempre facile. Spesso si da per scontati che perché si è bambini, la loro vita sia facile, spensierata, ecco, questo film ci insegna in modo anche molto teatrale, che non sempre è così. Che anche il mondo dei bambini può nascondere delle ombre e che anche un giovane cuore può farsi carico di sofferenze e sensi di colpa per cose fatte o non dette.
Buon venerdì ♥ Eccomi per parlarvi del secondo film che ho visto sabato scorso sempre sulla piattaforma Netflix: lui è il secondo che mi avevano consigliato dopo Pinocchio e, ovviamente, ho provato a guardarlo! Spiegare Le strade del male senza fare spoiler non è facile. Ci sono così tanti avvenimenti concatenati tra loro che è quasi impossibile nominarne uno senza farsi catturare nella spirale di quello successivo, ma ci proverò!
Le strade del male è un film del 2020 ispirato all’omonimo romanzo scritto da Donald Ray Pollock nel 2011 e con un cast davvero molto ricco e talentuoso.
Ma di cosa parla?
-Siamo a Ohio, America, nel 1945, subito dopo il secondo conflitto mondiale. Il film si apre con due incontri importati, due uomini che non si conoscono che incontrano due donne nella stessa caffetteria e che, nel bene e nel male, contribuiranno a cambiare la loro vita per sempre. Questi due uomini sono Willard Russel (interpretato da Bill Skarsgård) e Carl Henderson (interpretato da Jason Clarke). Passano gli anni e, dopo uno spoiler fatto dalla voce narrante su quello che succederà in una microscopica parte nel futuro, ritroviamo Willard e Charlotte, che nel mentre ha sposato, alla ricerca di una casa per mettere su famiglia e la trovano a Knockemstiff. La coppia seppur non propriamente accettata dalla piccola comunità è felice, si amano e hanno anche un figlio, in più Willard, che è un uomo molto religioso, appena trovato casa costruisce un piccolo santuario in una boscaglia a pochi passi dall’abitazione per raccogliere le preghiere della famiglia. Dovete sapere che i Russel sono molto religiosi per natura al punto che la madre di Willard, quando lui era in guerra, aveva pregato tanto e fatto un voto a Dio dove gli prometteva che se avesse fatto tornare a casa il figlio sano e salvo, gli avrebbe fatto sposare una ragazza della comunità, anche lei molto credente… una ragazza che non era Charlotte, ovviamente.-
Ho cercato di semplificare i primi 30 minuti del film, ma da qui sarebbe uno spoiler dietro l’altro e sinceramente non so fin dove potrei spingermi, per cui ho deciso di lasciarvi al trailer che vale più di mille parole. E’ in lingua inglese, ma le immagini parlano già chiaro. 😉
Dal trailer si capisce un po’ il genere e lo stile. E’ un film lungo più di due ore dove succede davvero di tutto, dove la violenza fisica e mentale fa i conti con un bigottismo religioso che mette a dura prova la fede. E’ un film che parla del mostro che si nasconde dietro un simbolo (in questo caso di chiesa), è un film che parla di storie, di vite che s’intrecciano e che alla fine sono costrette a scontrarsi. E’ un film che parla di solitudine dell’anima, di fatalità, di dolore, morte, crudeltà, disperazione, coraggio… L’amore presente è paragonabile all’odio, alla violenza e al disagio che si respira in ogni frammento di pellicola.
E’ un film disturbante?
Per certi versi, sì.
Ci sono dei momenti in cui ti chiedi come sia possibile che tutto sia collegato, che tutto debba accadere per un disegno divino più grande di noi e seppur queste riflessioni si possono spesso e volentieri applicare anche nella vita quotidiana di ognuno di noi (sempre sperando non in questi termini così estremi e violenti), lascia un senso di vuoto, di fatalismo, come se non ci fosse altra soluzione.
Mi sono imbattuta in questo film perché durante un discorso con mio nipote in cui si parlava di attori, avevo dichiarato che non amavo particolarmente gli Spider-man di Holland, perché in questa nuova versione dell’uomo ragno c’erano troppi elementi frivoli che toglievano attenzione alla bravura dell’attore in sé. So che probabilmente sto per bestemmiare, ma per me Tom Holland non è un grande attore, è bravo, ma non mi fa urlare al mostro sacro! Come dire? Quando lo vedo recitare, non mi trasmette nulla, tutto qui. Non dico che non è bravo, ma in passato ho visto attori che sono riusciti a commuovermi anche solo con uno sguardo, vedi Michael Sheen, Al Pacino o Jim Sturgess, lui questo non riesce a farlo. Dopotutto si tratta solo di gusti personali che nulla tolgono al talento dell’attore in questione. Così mio nipote mi dice: “se vuoi vedere Holland in un ruolo serio e adulto, guarda Le strade del male, lo trovi su Netflix“. Mugugno un secondo indecisa, ma so per certo che mio nipote ha dei buoni gusti, molto maturi per la sua età e mi metto subito a cercare il trailer sul cellulare: America del dopoguerra? Film che sembra una storia vera? Bill Skarsgård? Robert Pattinson?
Ok, mio!
Ed è così che mi sono immersa in questa storia dalle tinte molto noir che seppur non mi ha emozionata come se stessi guardando un capolavoro, mi ha comunque lasciata attaccata allo schermo per più di due ore, con in testa una sciame di domande, tristezza e compassione e, soprattutto, voglia di capire dove sarebbe andata a concludersi la storia. ^_^
Come dite? Cosa penso ora di Tom Holland? Sostanzialmente il mio giudizio su di lui non è cambiato chissà che, rimane un’attore che non riesce a smuovermi emozioni forti o intense come hanno fatto altri in passato, ma devo anche ammettere che in questo film è stato bravo e meritevole di lodi. ^_^
E non solo lui, come già detto su, il cast è talentuoso: Tom Holland (Spider-Man, Avanger, Terre Selvagge), Robert Pattinson (Twilight, Batman, Remember Me), Bill Skarsgård (IT, Deadpool 2, Eternals), Harry Melling (Harry Potter saga, La regina degli scacchi,Waiting for the Barbarians), Mia Wasikowska (Alice in Wonderland, Blackbird, Madame Bovary) solo per citarne alcuni…
Ammetto che nonostante il lato molto cruento e per certi infame della trama, il film nell’insieme mi è piaciuto e mi ha fatto pensare molto a quanto a volte il mondo sia pieno di tanti proverbiali “lupi travestiti da agnelli”. Grazie a moltissimi fatti di cronaca, italiani e non, non mi è stato difficile credere al lato oscuro del predicatore, alla sua lussuria, al suo credere estremo che porta ad atti di libidine e allucinazione, tuttavia se da una parte troviamo una figura “fragile” nelle sue convinzioni al punto da restarne soggiogata, dall’altra c’è la gente comune, quella che non ha altro a cui aggrapparsi che a Dio, a questa entità superiore che rivedono nell’uomo che lo rappresenta e di cui hanno una fiducia smisurata e completa.
Il bene e il male sono ovunque e questo film, seppur tratto da un’opera di fantasia, me l’ha ricordato attraverso un vortice di violenza e disperazione inaudito.
Non è un film per tutti e sicuramente da evitare se siete facilmente sensibili all’argomento religione o facilmente impressionabili.
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