Forse non tutti lo sanno, ma da alcuni mesi, a Lambrate, Milano, è stata allestita una mostra che per la cronaca è stata prolungata fino a luglio sulla storia dei più efferati serial killer della storia.
Perché ve ne parlo?
Per dei sentimenti contrastanti che sento il bisogno di esprimere in questa finestra sul mondo che è questo piccolo blog.
Allora…
Prima di tutto vi racconto come ci sono finita alla mostra, ma sarò breve. Sostanzialmente mi sono ritrovata faccia a faccia col male assoluto e su quanto potesse essere in grado di fare per tre motivi:
1- Un amica appassionata del genere.
2-Un discorso informativo/culturale, come si andrebbe a guardare un qualsiasi museo che testimonia la follia umana: esempio quelli dei campi di sterminio o delle Torri gemelle (solo per citarne due a caso).
3-Una certa affinità col genere, essendo io stata costretta fin da piccola a guardare programmi crime che tanto piacevano a mia madre.
Ora… questo non implica che sono una persona che ama il macabro, anzi, io fuggo da un film dell’orrore e similari, ma ritengo che questo genere di cose non debbano essere dimenticate, perché dietro la follia di alcuni individui, ci sono volti, nomi, persone, famiglie e una vita spezzata, spesso in modo molto cruento.
Così, con la consapevolezza che non stavo andando a guardare una mostra di ceramiche e con la premessa da parte di entrambe (mia e della mia amica) che alla prima cosa che ci disturbava ce ne saremo andate via, ci siamo incamminate verso Spazio Ventura XV.
LA MOSTRA.
L’esposizione è stata ricca di reperti, foto, descrizioni e ricostruzioni. Quelle più impressionanti erano in una zona riservata non visibile a un primo impatto, in modo che chi voleva, poteva saltare e andare oltre (cosa che ho molto apprezzato).
Era suddivisa in vari settori, per la durata di sessanta tracce di audioguida che ti veniva fornita gratuitamente all’ingresso, dove venivi anche invitato a mantenere un tono di voce basso e rispettoso, perché dopotutto non era la fiera dell’horror, non era un inno ai carnefici, ma alle vittime, ai loro patimenti, in vita o, ahimè, post mortem.
All’interno si spaziava in secoli di carneficine da parte di singoli individui da tutto il mondo, ma c’era una buona fetta di americani resi famosi anche grazie a serie tv e al cinema.
E così nomi come Bundy, Damher, Jack lo Squartatore (che era inglese), Gacy, Ridgway, ecc ecc… hanno per certi versi ripreso vita attraverso delle ricostruzioni di reperti, originali, lettere, dipinti e oggetti a loro appartenuti, il tutto corredato da una esaustiva scheda tecnica che ne descriveva la vita, gli abusi che loro in prima persona avevano subito da terzi, le vittime, il loro modus operandi e poi che fine avevano fatto, se erano ancora in vita o meno.
E’ stato sicuramente un viaggio difficile da sostenere, alcune ricostruzioni o foto erano difficili da guardare, a volte bastava leggere cosa avessero fatto alle loro vittime per sentire un brivido lungo la schiena e lo stomaco guizzare in gola, ma dal mio punto di vista, non dimenticare queste persone, le vittime intendo, è anche un modo per darle un’identità, una giustizia che a quel tempo, solo perché erano principalmente prostitute o senzatetto, veniva loro negata.
IL DISAGIO
La prima cosa che ho notato appena siamo arrivata davanti il posto per mettersi in fila erano i visi sorridenti delle persone. Io e la mia amica eravamo leggermente tese, consapevoli che non stavamo per entrare in un luogo bello, divertente, emozionante, ma in un posto tetro, carico di straziante dolore, pesante, eppure la gente intorno a noi era allegra come se stesse per entrare al cinema, ma non solo!
La struttura stessa, in via molto intelligente, ha stampato un libro sulla mostra che era acquistabile a fine o inizio visita. Nulla di strano, anzi, ma il poster in omaggio, mi a turbato più della ricostruzione della camera a gas!
Un poster a scelta in omaggio?
Chi sano di mente metterebbe un poster di Ted Bundy, Jeffrey Damher o Aileen Wuornos?
Io sono rimasta ferma alla moda di tappezzare casa con i volti dei miei beniamini, idoli che fossero stati cantanti, attori, personaggi degli anime, dei videogiochi, ma non di pluriassassini seriali!!
Ovviamente non è mia intenzione offendere il prossimo, ognuno a casa propria si piazza il poster che vuole, ma ho trovato l’idea del poster davvero di pessimo gusto. Avrei capito se si fosse trattato della locandina dell’evento, ma…
Ok, lasciamo stare, sorvoliamo!
Ma il negozietto di gadget a fine percorso?
Tazze, penne, poster con su i volti di questi assassini e in più c’erano anche portachiavi a forma di dito mozzato con tanto di sangue attaccato…
Ma esattamente dove cacchio è finito il rispetto decantato dallo staff a inizio mostra?
Anche in questo caso, vuoi racimolare un po’ di soldi con la vendita di gadget? Usa il logo della mostra, non le foto dei “mostri”, cacchio!!!
Ma il top assoluto?
Il gioco con domande stile quiz a premi e tanto di sonoro “BOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOP”, se la risposta era errata. In lontananza avevo sentito questo suono e mi ero detta, chi cacchio eh? Poi ho pensato a qualche cellulare con l’audio attivato o roba simile, ma arrivata nella stanza con i joypad e la scritta: “GIOCA”, volevo sotterrarmi.
Ora…
E’ una mostra dove sono descritte nel dettaglio mutilazioni con tanto di foto allegate, squartamenti, necrofilia, e qualsiasi altra cosa orribile ti possa venire in mente… e voi mettere un gioco a quiz?
Forse sono strana io ma in un contesto simile, la parola GIOCA non doveva proprio esistere, punto!!
I VISITATORI
Sempre salvo e premettendo che ognuno fa quello che vuole, ma davvero la gente aveva bisogno di fotografare quel genere di cose esposte? Ho visto gente fotografare col cellulare la ricostruzione del cadavere di Elisa Claps, il manichino di una delle vittime di Jack lo Squartatore. Ho visto gente fotografare il NON fotografabile, ma perché?
Per metterlo su un blog?
Per collezione personale?
Non so, non saprei, ma ho trovato tutto molto di pessimo gusto.
In conclusione, sicuramente è una mostra fatta bene, molto esaustiva, ma queste piccole (mica tanto) cose mi hanno davvero lasciata basita.
C’è un limite a tutto, ma in quel posto, in quelle mura, a volte ho faticato a capire chi erano i veri mostri, se quelli nelle foto o gli altri, quelli che fotografavano, che acquistavano la locandina di Bundy, che si facevano il selfie sorridenti davanti al frigo di Damher, davanti al pannello della foto segnaletica, che si prendevano del tempo per fare il quiz o provare la realtà virtuale. Almeno queste persone che hanno ucciso, sono spesso state, prima di mostri, vittime, ma queste? Non hanno scuse.
La mostra merita e tanto, ma se decidete di andarci, ricordatevi che state vedendo facce e cose appartenute a persone che hanno stroncato brutalmente la vita di altre, a volte anche solo di bambini piccoli, non state andando in un parco giochi, non è la fiera dell’orrore, è storia, cronache di vite spezzate.
Peace & Love
Shio.
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