
Buongiorno a tutti, oggi si torna a parlare di libri.
Come sapete non sono una gran lettrice, ho sempre pochissimo tempo a mia disposizione e devo sempre centellinare i minuti per me e distribuirli alle mie passioni, una goccia per volta.
Ho acquistato questo romanzo mentre ero in ferie a Trieste, l’ho scelto perché parla di fatti veri, perché parla del Giappone (terra che amo), perché era qualcosa di diverso dai soliti fenomeni che ormai ci vengono propinati sui social.
Di “Venivamo tutte per mare” non ne parla nessuno. Non ho letto nulla di lui in giro né su Instagram, né su blog e Facebook. E’ arrivato a me timidamente, in punta di piedi, senza far rumore come una silenziosa dama del sol levante avvolta nel suo kimono fatto di decorazioni preziose e storia.
La sinossi presa da Amazon: “Da anni” ha dichiarato Julie Otsuka, “volevo raccontare la storia delle migliaia di giovani donne giapponesi – le cosiddette “spose in fotografia” che giunsero in America all’inizio del Novecento. Mi ero imbattuta in tantissime storie interessanti durante la mia ricerca e volevo raccontarle tutte. Capii che non mi occorreva una protagonista. Avrei raccontato la storia dal punto di vista di un ‘noi’ corale, di un intero gruppo di giovani spose”. Una voce forte, corale e ipnotica racconta dunque la vita straordinaria di queste donne, partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America, a cominciare da quel primo, arduo viaggio collettivo attraverso l’oceano. È su quella nave affollata che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei mariti sconosciuti, immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguirà l’arrivo a San Francisco, la prima notte di nozze, il lavoro sfibrante, la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura, l’esperienza del parto e della maternità, il devastante arrivo della guerra, con l’attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici. Fin dalle prime righe, la voce collettiva inventata dall’autrice attira il lettore dentro un vortice di storie fatte di speranza, rimpianto, nostalgia, paura, dolore, fatica, orrore, incertezza, senza mai dargli tregua.
Che cosa ne penso?
Già leggendo la sinossi, si ha una idea ben distinta di quello che il lettore dovrà affrontare tra le pagine di “Venivamo tutte dal mare“. Non si tratta di una favoletta, non è un romanzetto, è storia. Una storia che probabilmente in pochi conoscono, che in molti ignorano, una storia triste come tante…
Quando si parla di spose bambine, di prostituzione minorile, di tratta di umani non si pensa mai al Giappone, così perfetto, chiuso nelle sue regole, eppure in quella nave della speranza, col suo carico di donne che vanno incontro a un futuro incerto e con l’unica certezza, la foto di un uomo che per mesi ha alimentato le loro speranze e i loro sogni attraverso delle lettere, quel volto per loro sconosciuto, è la loro unica certezza, l’unico punto fermo. Ebbene in mezzo a quelle donne giovanissime ci sono anche bambine di appena 12 anni, che non sono ancora delle donne formate, ma che sono state già inviate ai loro promessi mariti oltre oceano e che spesso e volentieri, non hanno nulla in comune con la foto che stringono al petto quando la nausea per il mar mosso le devasta.
Ci sono donne che al loro arrivo non trovano l’uomo che pensavano di trovare, giovane e forte, ma un vecchio. Una persone già consumata dalla vita e dal duro lavoro, che non vive in una villa, che non è ricco e fa la bella vita, no, la realtà che spesso si presenta a quelle ignari fanciulle è ben diversa da quella descritta nelle lettere. C’è chi si ritrova davanti un marito che potrebbe essere suo padre, chi le prende solo per metterle in un bordello, chi le violenta alla prima notte…
E’ un libro difficile, duro da raccontare. Ci sono così tante cose, tante sofferenze al suo interno che quando finisci di leggerlo ti senti spaesato: violenza, prostituzione, razzismo, schiavitù sono solo alcune di queste, ma c’è anche tanto orgoglio, quello giapponese che non si piega facilmente, che anche in terra straniera, lotta per tener vive le proprie tradizioni, che può piegare la schiena a causa del duro lavoro, ma questo non spezzerà il suo animo. Quelle di cui si parla in questo romanzo sono donne che hanno vissuto l’inferno e nonostante tutto, hanno trovato dentro di loro anche la forza di amarlo, non tutte, ma alcune sì.
Se si vuole conoscere un po’ di questa altra parte della storia, questo è un libro da leggere. Nonostante possa apparire lento e ripetitivo, nonostante la scelta dell’autrice di scriverlo con un “noi” corale che spesso stona, spiazza, fa storcere il naso… nonostante tutto, se non ci si ferma ai difetti di forma che quando una storia regge dovrebbero essere l’ultimo dei tuoi pensieri a meno che questi non ti impediscano di andare avanti con la lettura, nonostante tutto, rimane un romanzo denuncia che andrebbe letto, perché il razzismo o la violenza sessuale su minori non sono un’esclusiva di alcuni soli gruppi di etnie e paesi, perché la tratta degli umani non è una cosa individuale limitata a un solo Continente o Stato, ma è un problema che riguarda il mondo intero.
Sì, non è un libro facile e il modo in cui è scritto non aiuta, ma è comunque un romanzo che fa riflettere e che andrebbe letto col cuore e non solo con gli occhi.
Consigliato seppur con qualche riserva. ^_^