Venivamo tutte per mare di Julie Otsuka

Buongiorno a tutti, oggi si torna a parlare di libri.
Come sapete non sono una gran lettrice, ho sempre pochissimo tempo a mia disposizione e devo sempre centellinare i minuti per me e distribuirli alle mie passioni, una goccia per volta.

Ho acquistato questo romanzo mentre ero in ferie a Trieste, l’ho scelto perché parla di fatti veri, perché parla del Giappone (terra che amo), perché era qualcosa di diverso dai soliti fenomeni che ormai ci vengono propinati sui social.

Di “Venivamo tutte per mare” non ne parla nessuno. Non ho letto nulla di lui in giro né su Instagram, né su blog e Facebook. E’ arrivato a me timidamente, in punta di piedi, senza far rumore come una silenziosa dama del sol levante avvolta nel suo kimono fatto di decorazioni preziose e storia.

La sinossi presa da Amazon: “Da anni” ha dichiarato Julie Otsuka, “volevo raccontare la storia delle migliaia di giovani donne giapponesi – le cosiddette “spose in fotografia” che giunsero in America all’inizio del Novecento. Mi ero imbattuta in tantissime storie interessanti durante la mia ricerca e volevo raccontarle tutte. Capii che non mi occorreva una protagonista. Avrei raccontato la storia dal punto di vista di un ‘noi’ corale, di un intero gruppo di giovani spose”. Una voce forte, corale e ipnotica racconta dunque la vita straordinaria di queste donne, partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America, a cominciare da quel primo, arduo viaggio collettivo attraverso l’oceano. È su quella nave affollata che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei mariti sconosciuti, immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguirà l’arrivo a San Francisco, la prima notte di nozze, il lavoro sfibrante, la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura, l’esperienza del parto e della maternità, il devastante arrivo della guerra, con l’attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici. Fin dalle prime righe, la voce collettiva inventata dall’autrice attira il lettore dentro un vortice di storie fatte di speranza, rimpianto, nostalgia, paura, dolore, fatica, orrore, incertezza, senza mai dargli tregua.

Che cosa ne penso?

Già leggendo la sinossi, si ha una idea ben distinta di quello che il lettore dovrà affrontare tra le pagine di “Venivamo tutte dal mare“. Non si tratta di una favoletta, non è un romanzetto, è storia. Una storia che probabilmente in pochi conoscono, che in molti ignorano, una storia triste come tante…
Quando si parla di spose bambine, di prostituzione minorile, di tratta di umani non si pensa mai al Giappone, così perfetto, chiuso nelle sue regole, eppure in quella nave della speranza, col suo carico di donne che vanno incontro a un futuro incerto e con l’unica certezza, la foto di un uomo che per mesi ha alimentato le loro speranze e i loro sogni attraverso delle lettere, quel volto per loro sconosciuto, è la loro unica certezza, l’unico punto fermo. Ebbene in mezzo a quelle donne giovanissime ci sono anche bambine di appena 12 anni, che non sono ancora delle donne formate, ma che sono state già inviate ai loro promessi mariti oltre oceano e che spesso e volentieri, non hanno nulla in comune con la foto che stringono al petto quando la nausea per il mar mosso le devasta.

Ci sono donne che al loro arrivo non trovano l’uomo che pensavano di trovare, giovane e forte, ma un vecchio. Una persone già consumata dalla vita e dal duro lavoro, che non vive in una villa, che non è ricco e fa la bella vita, no, la realtà che spesso si presenta a quelle ignari fanciulle è ben diversa da quella descritta nelle lettere. C’è chi si ritrova davanti un marito che potrebbe essere suo padre, chi le prende solo per metterle in un bordello, chi le violenta alla prima notte…

E’ un libro difficile, duro da raccontare. Ci sono così tante cose, tante sofferenze al suo interno che quando finisci di leggerlo ti senti spaesato: violenza, prostituzione, razzismo, schiavitù sono solo alcune di queste, ma c’è anche tanto orgoglio, quello giapponese che non si piega facilmente, che anche in terra straniera, lotta per tener vive le proprie tradizioni, che può piegare la schiena a causa del duro lavoro, ma questo non spezzerà il suo animo. Quelle di cui si parla in questo romanzo sono donne che hanno vissuto l’inferno e nonostante tutto, hanno trovato dentro di loro anche la forza di amarlo, non tutte, ma alcune sì.

Se si vuole conoscere un po’ di questa altra parte della storia, questo è un libro da leggere. Nonostante possa apparire lento e ripetitivo, nonostante la scelta dell’autrice di scriverlo con un “noi” corale che spesso stona, spiazza, fa storcere il naso… nonostante tutto, se non ci si ferma ai difetti di forma che quando una storia regge dovrebbero essere l’ultimo dei tuoi pensieri a meno che questi non ti impediscano di andare avanti con la lettura, nonostante tutto, rimane un romanzo denuncia che andrebbe letto, perché il razzismo o la violenza sessuale su minori non sono un’esclusiva di alcuni soli gruppi di etnie e paesi, perché la tratta degli umani non è una cosa individuale limitata a un solo Continente o Stato, ma è un problema che riguarda il mondo intero.

Sì, non è un libro facile e il modo in cui è scritto non aiuta, ma è comunque un romanzo che fa riflettere e che andrebbe letto col cuore e non solo con gli occhi.

Consigliato seppur con qualche riserva. ^_^

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Soft Metal Vampire di Hiroki Endo

E si ritorna a parlare di manga e nello specifico di questa serie frizzante e graficamente d’impatto, disegnata dal bravissimo sensei Hiroki Endo e pubblicata da Planet Manga.

La trama…
più o meno (<.<): In un mondo ormai invaso da potenti creature affamate di sangue. Mika, una ragazza di sedici anni viene trascinata nella lunga lotta tra dhampir, purosangue e lupi mannari per un fantasy Horror dalle sfumature fantascientifiche che uniscono la dinamicità e la fluidità dei disegni a una storia originale e per alcuni versi divertente anche grazie alla presenza di Alan un dhampir che salverà Mika dall’attacco che distruggerà parzialmente la sua scuola e che darà ufficialmente il via a questa avventura.

Cosa ne penso?

Beh, non è la prima opera che leggo del sensei Endo, ormai da anni faccio il filo a Eden che in molti classificano come il suo capolavoro, ma ho una certa riluttanza con la fantascienza e questo non mi ha mai dato l’input definitivo per lanciarmi. Ma non è di Eden che si parla, ma di Soft Metal Vampire!

Allora, ci troviamo davanti la storia classica storia trita e ritrita del prescelto e fin qui, ci siamo. Cliché simili sono presenti ovunque: film, libri, serie tv, manga, anime… insomma, ovunque ti giri e a prescindere da cosa tu prediligi, sicuramente almeno una volta nella vita ti sarai imbattuto in qualche “prescelto” in grado di cambiare il mondo, salvarlo, distruggerlo ecc ecc… Tuttavia, nonostante questo incipit molto comune, le parti esilaranti con Alan, mi hanno subito fatta sorridere facendomi entrare in sintonia con i personaggi.

Una particolarità di questa storia che è poi quella che più mi ha messa in difficoltà, sono gli elementi. E non parlo dei classici fuoco, terra, aria, vento, no… magari!!
Si parla di chimica, di formule legate alla formazione dell’argento, del piombo, degli idrocarburi e via dicendo. E questo a mio avviso, se da un lato dona un senso di originalità alla storia, dall’altra lo appesantisce. Sinceramente quando iniziavano gli spiegoni del come erano riusciti a deformare l’asfalto o far trasformare l’acqua di proiettili (esempi a caso), saltavo il balloon, perché tanto il mio cervello si rifiutava di capire.

Sicuramente è solo un mio problema e a molti questa cosa apparirà come la trovata dell’anno e sono felice se fosse così, ma a me questi elementi mi mandano un po’ in confusione. Quando decido di leggere qualcosa in generale e un manga nello specifico, voglio qualcosa di leggero, che mi liberi la mente e mi faccia sognare e questi momenti “chimici” mi fanno precipitare al suolo con ancora il paracadute chiuso.

Non mi resta che sperare sia solo perché era il primo volume e una infarinatura era d’obbligo se il lettore doveva capire e che nei prossimo, queste situazioni, vengano alleggerite, ma ho i miei seri dubbi in merito. Tuttavia ribadisco che questo è un mio problema personale, che la storia è carina, i disegni accattivanti e che sicuramente merita di essere letto.

La serie è composta solo da 6 volumetti di poco meno di 200 pagine al costo di € 7 (prezzo di copertina).

Sangue, adrenalina, chimica e azione sono alcuni degli elementi che contraddistinguono questa storia che non faticherà anche a farvi scappare una risata. Consigliato agli amanti del genere, un po’ meno, ai facilmente impressionabili. 😉

Buona Lettura! ♥

The Iron Lady (il film) di Phyllida Lloyd

«Cura i pensieri: diventeranno parole. Cura le tue parole: diventeranno le tue azioni. Cura le tue azioni perché diventeranno abitudini. Cura le tue abitudini perché diventeranno il tuo carattere e cura il tuo carattere perché diventerà il tuo destino. Quello che pensiamo, diventiamo.»
(Margaret Thatcher)

Ciao a tutti, oggi parliamo di film!

Ho visto questo film perché amo la bellezza e il talento di Meryl Streep e poi Margaret Thatcher è un pezzo di storia al quale ho involontariamente assistito ma che ero troppo piccola per ricordarlo nitidamente.

The Iron Lady ripercorre a ritroso nel tempo, la nascita politica e le gesta di una donna che è passata alla storia col nomignolo di “Lady di ferro“, ma lo fa con una malinconia e una nostalgica follia che lasciano un po’ di amaro in bocca.

Eccovi la trama estrapolata da Wikipedia: Anni 2000. Margaret Thatcher, ormai affetta dalla malattia di Alzheimer, conduce una vita solitaria, nonostante le preoccupazioni di sua figlia e dei collaboratori. Nella sua mente, ormai compromessa, passato e presente si confondono di continuo, e la donna arriva a immaginare che suo marito Denis Thatcher sia ancora vivo, al punto da discutere continuamente con lui. I suoi ricordi si concretizzano in una serie di flashback che ripercorrono la sua storia.

Trailer:

Cosa ne penso?

Beh, prima di tutto che l’Oscar alla Streep è più che meritato, la sua Lady Thatcher è perfetta nelle sue emozioni e fragilità, ma anche determinata e quasi perversa per altre.

Ammetto di aver amato e odiato questa donna durante la lunghezza del film. Non sempre concordavo con le sue decisioni politiche o con i suoi modi di fare a volte altezzosi o arroganti, e soprattutto ho provato in parte pena per i suoi famigliari messi spesso nell’ombra dalla sua ossessione, sì perché in questo film la politica non rappresenta solo un ruolo nella vita della lady di ferro, quanto più una vocazione, un ossessione appunto che la terrà legata ai suoi ideali per anni e anni. Per cui quando mi sono trovata davanti la Margaret del passato, non sempre sono riuscita ad empatizzare con lei, anzi. Ma quando dinnanzi a me avevo la donna fragile, vittima di una malattia che l’aveva resa uno spettro, l’ombra di quel passato dorato fatto di successi e soddisfazioni, beh, lì il mio cuore di faceva piccolo piccolo e soffriva per lei, per quella donna forte che aveva dato tutta sé stessa per i suoi ideali e che nel bene e nel male aveva fatto la storia del Regno Unito in un periodo pieno di tumulti e violenza.

Sinceramente ero troppo piccola quando lei governava per comprendere e ricordarmi quanto dei fatti riportati nella pellicola ci sia di vero, ma la Thatcher politica non ci faceva una bella figura in questo film, non sempre, arrivando a sfiorare i segnali tipici della dittatura, tutto un altro discorso il suo lato umano che emergeva solo in età avanzata quando ormai sola, colloquia con i fantasmi del suo passato, ricordando i tempi d’oro e la donna che era stata un tempo.

Davvero molto bello.

Accanto a Meryl Streep nei panni di Margaret Thatcher, troviamo anche Jim Broadbent nel ruolo del marito: Denis Thatcher, Olivia Colman che interpreta la figlia Carol Thatcher ed Anthony Head nel ruolo di Geoffrey Howe.

Insomma questo film ha tutti i numeri in regola per diventare un piccolo cult nei vostri cuori, dipende se vi piace il genere storico/biografico e la storia politica del Regno Unito in generale.

Consigliatissimo. ♥

Autunno col botto!

Come sapete (o almeno spero) nel mio piccolo cerco sempre di fare le cose per bene, seriamente, mettendoci anima e corpo… Ebbene, quest’estate è stata caldissima esattamente come le ultime del decennio e il desiderio che arrivasse presto l’autunno, per me, era molto impellente…
Così ho pensato bene di festeggiare il suo arrivo con un giro in pronto soccorso e una succulenta testata a uno scaffale di metallo! 🤣 Ma non temete, la mia testa è rimasta comunque bacata, al massimo potrà solo peggiorare… 🙄 per cui, se vi sembrerò più svarionata del solito sono due le cose: o è il colpo in testa o la gioia per l’arrivo dell’Autunno, a voi il giudizio finale! ♥

Un abbraccio! 😘

Miyo – Un amore felino.

Buona domenica amici, come state?
Spero tutto bene. Io non mi lamento, è ricominciata la solita routine e si ritorna a districarsi tra le varie incombenze della vita: un virus intestinale di lì… un po’ di sano mobbing di là… insomma, il solito, dai! 😂Ma non parliamo delle solite, tristi, sfighettine, oggi parliamo di anime, anzi, di film d’animazione!

Miyo un amore felino è un film del 2020 disponibile su Netflix e narra le vicende della giovane Miyo, divisa a metà tra i sentimenti che porta nel cuore e la maschera che è costretta quotidianamente a indossare davanti alla sua famiglia e a scuola.

Affascinante tema quello delle maschere, non trovate?

Quanti di noi sono spesso costretti a fare buon viso a cattivo gioco?

Quanti si ritrovano spesso a dover sorridere mentre dentro stanno andando in pezzi?

Ecco, questo è ciò che sta accadendo alla nostra protagonista, ma prima di tutto, eccovi il trailer del film. 😊

Cosa ne penso…

Il film risulta da subito gradevole anche grazie a una splendida animazione con coloro molto vividi a cui ormai gli anime di nuova generazione ci stanno abituando. La storia poi era davvero graziosa e mi sono ritrovata a simpatizzare molto con Miyo e il suo smarrimento interiore, stesso discorso vale per Hinode, ambedue si portano dentro un tipo di sofferenza che ho provato e che ho percepito molto vivida. La parte che un po’ mi ha smontata è stata quella nella città dei gatti… troppo lunga.

***ATTENZIONE SPOILER***
La lotta per liberare Miyo dalla maledizione del gatto è stata davvero troppo allungata appesantendo di molto la parte finale del film, si poteva ridurre il tutto a cinque minuti, dieci, di film e invece a me è sembrata durasse ore, soprattutto se si pensa al modo in cui è stato poi sconfitto lo spirito “cattivo” del gatto, davvero molto semplificato e pertanto risolvibile in molto meno tempo, ma si sa, sono scelte da parte del regista o dell’autore e vanno rispettate. ^_^
***FINE SPOILER***

Tornando alla parte leggibile della recensione, mi sento comunque di consigliare questa pellicola che in un’ora e quaranta circa, riuscirà a catapultarvi nel cuore di due adolescenti spaccati a metà tra i sogni che custodiscono nel cuore e i desideri e l’egoismo degli adulti che gli stanno intorno e che ahimè spesso non coincidono. Miyo – Un amore felino è una storia dolce, ma folle al tempo stesso. Delicata ma anche per certi versi violenta, psicologicamente violenta, che potrebbe indurre anche a diverse riflessioni soprattutto far interrogare lo spettatore su quanto può celarsi dietro un sorriso. Sì, noi adulti spesso lo sappiamo perché l’abbiamo sperimentato sulla nostra pelle, ma non riusciamo a vederlo negli altri perché troppo concentrati sui nostri problemi e poi, nessuno bada all’umore di un’adolescente perché notoriamente instabile: “E’ l’età”, non si dice forse così? Io sono stata spesso vittima di questa frase e della mancanza di empatia dimostrata dal mondo che mi circonda, per cui ho subito legato con la piccola Miyo e il vuoto che si portava dentro.

Consigliato ♥


Un amore di città – Atto 2

Non fatevi ingannare dal titolo, perché questa volta si parla sempre di Trieste ma del lato triste della storia umana mondiale, la Shoah.

Sicuramente molti di voi sapranno che anche in Italia c’erano dei campi di concentramento che i nazisti usavano spesso e volentieri come transito prima di deportare i mal capitati in lager più grandi come Auschwitz (solo per citare uno dei più famosi).
Qui in Italia i principali erano 4 situati a Fossoli, Bolzano, Borgo San Dalmazzo (Cuneo), ma solo uno era dotato di forno (non devo spiegarvi a cosa servisse, vero?) ed era ne La Risiera di San Sabba a Trieste.

Quando vi ho accennato nell’altro post che queste erano state delle vacanze un po’ particolari, era anche per questo. Non avrei mai immaginato che un giorno sarei entrata in un luogo così dolorosamente carico di storia. Nella mia mente ho sempre pensato che quel genere di esperienza avrei potuto farla solo se mi fossi recata in Polonia e invece questa triste, spaventosa, vergognosa realtà della storia dell’umanità era anche qui, vicino casa nostra, nella nostra Italia, in un luogo magico come Trieste a cui purtroppo tocca il doloroso primato di essere stati i soli ad avere un forno per sbarazzarsi delle salme.

Ci sono andata.

Dovevo vedere, percepire, dare onore e memoria a tutte quelle persone che una memoria non l’avevano più, a cui era stata strappata in un modo così crudele che al sol pensarci ho ancora i brividi, e le sensazioni provate mi hanno destabilizzata.

Non è stato come vedere le pareti di oggetti ad Auschwitz di cui ho tanto sentito parlare, no. La Risiera di San Sabba è piccola, fate conto che prima che venisse usata per scopi tanto atroci era un fabbrica dove si lavorava il riso, ma con l’arrivo della guerra, la realtà di questo luogo e degli abitanti dell’intera città, per certi versi, era stata stravolta, cambiata per sempre.

Forse qualcuno di voi si starà chiedendo: Quanto costa visitare La Risiera di San Sabba?

Niente.

Avete capito bene, non è previsto alcun biglietto d’ingresso. Tutto quello che si chiede è rispetto per il luogo, silenziare i cellulari e, se proprio vi va, lasciare una offerta libera un po’ come per tutti gli altri musei gratis della città e di cui vi ho parlato nell’articolo precedente che potete recuperare cliccando QUI.

Attraverso un corridoio con pareti mastodontiche, si entra in un cortile dov’è ancora visibile la sagoma dove una volta ergeva il forno che, ovviamente, fu fatto saltare in aria dai nazisti in fuga, poi quattro sale principali: la camera con tutti i reperti, filmati, testimonianze, ecc… La camera che veniva chiamata, La stanza delle croci, Le celle grandi appena per far stare un letto a castello e una persona in piedi… davvero claustrofobiche e, purtroppo, La stanza della morte, un’aria unica, senza finestre, senza neanche uno spiraglio di luce, dove venivano messe le persone in attesa di esecuzione.

Prendendosi il giusto tempo per leggere tutte le didascalie ed ascoltare/vedere tutti i video testimonianza posizionati nel primo blocco, La Risiera di San Sabba è visitabile in un paio di ore neanche, ma quando imbocchi nuovamente il corridoio infinito con le pareti alte fino al cielo, senti il sollievo smuoverti il petto. Non è una cosa che si dovrebbe fare in vacanza, lo so, ma andava fatto e sono felice di aver avuto la possibilità di toccare con mano il dolore di queste persone, di respirare la storia.

Di seguito vi lascio un video trovato su YouTube dove potrete vedere e ascoltare la storia di questa testimonianza fisica dell’orrore dell’uomo.

Teniamo viva la memoria, lo dobbiamo a queste persone e anche a noi stessi, affinché simili orrori non si ripetano di nuovo…

Buona visione e alla prossima. ♥

Spencer di Pablo Larraín.

Ciao amici, pronti a parlare di film?
Direi che il periodo è quello giusto vista l’infausta notizia dei giorni scorsi ma tranquilli, non mi permetterei mai di fare dell’ironia spiccia come quella che in queste ultime ore ho visto in giro sui social e che sinceramente mi ha fatto disgustare dove ora Diana potrà vendicarsi della Regina Elisabetta, queste fesserie (per non dire stronzate del ca….volo: una morte è una morte, sempre) le lascio ai poveri di cuore che si divertono con poco. No, oggi vi parlo di un film che ho trovato disponibile su Amazon Prime e che ho visto il mese scorso per pura curiosità: Spencer, diretto da Pablo Larrín, sceneggiato da Steven Knight e interpretato dall’ex vampirella innamorata Kristen Stewart.

Trailer:

Trama: Natale 1991 e come di consueto, la famiglia reale si prepara a trascorrere le festività a  Sandringham nel Norfolk. Tutto è pronto, la servitù è in posizione, la cucina con i suoi componenti allineati come se si trattasse di un piccolo esercito pronto a marciare impeccabile per il bene di Sua Maestà, i Reali sono tutti giunti, ma manca qualcuno… Diana.


La principessa del Galles si è persa per strada. Aveva preteso di guidare lei e una volta arrivata nelle immensa campagne di Norfok si era irrimediabilmente smarrito. O forse era volontario? Diana è fragile, sull’orlo di un esaurimento nervoso e questo l’ha spinta a rimandare la sua ennesima agonia in quella casa, con quelle persone che ormai per lei erano solo fonte di stress.
Dopo essere stata recuperata per strada dal capo chef che la trova nei pressi della casa dove la principessa aveva trascorso parte della sua infanzia, Diana prende ufficialmente parte ai festeggiamenti in un ambiente sterile e ostile, dove tutto la soffoca e dal quale si sente respinta finché non prenderà la sua decisione finale non prima di aver attraversato tutte le tappe di un supplizio mentale che la porteranno a un passo dal suicidio.

Cosa ne penso?

Precisiamo subito che quella narrata nel film è una ricostruzione immaginaria del momento in cui Diana prende coscienza di sé, dei suoi limiti e decide di dire stop a un matrimonio che la sta distruggendo. Non c’è nulla di storicamente confermato nelle scene che vedrete e ci tengo a dirlo perché spesso in questo film si ha quasi l’idea che la principessa del Galles fosse una donna profondamente disturbata, esuberante e con uno spiccato senso di ribellione. Per carità, tutte cose che in verità la rispecchiavano, ma in questa pellicola vengono molto osannate, enfatizzandole fino allo stremo.

Ammetto di aver fatto fatica a star dietro ai malumori di Diana e spesso mi sono detta: cacchio ma se fa così, è normale che le gente si incacchia, ma non bisogna vedere la principessa con gli occhi di una persona sana e nel pieno delle sue facoltà mentali, ma bensì come una creatura fragile come il cristallo, piena di incrinature a cui basta ormai un alito di vento per esplodere in mille pezzi. Ecco, questa è la Diana che Larrín e Knight ci mostrano.

Mi è piaciuto?

Sì, ma mi ha anche un po’ disturbata. Comprendo che è una ricostruzione di fantasia, ma non sempre la principessa del Galles ci fa una bella figura e questo un po’ mi turba. Non voglio entrare nel merito delle diatribe della famiglia reale, sono cose che non ho mai amato molto, ma in questo film a volte ho fatto fatica a empatizzare per Diana, tuttavia ne comprendevo la sua fragilità perché l’ho provata tantissime volte su di me.

E’ un film che consiglio?

Sì, molto, ma va preso con le dovute precauzioni. Per quanto si tratti di un film su un pezzo di vita di una principessa, non c’è nulla di fiabesco in esso. Non sono i film edulcorati di Sissi, qui il dolore lo tocchi con mano e fa male, tanto male.

Tra i vari interpreti, oltre a Kristen Stewart nei panni di Diana Spencer per il quale è stata anche nominata agli Oscar come migliore attrice protagonista, troviamo Timothy Spall (Harry Potter, Il maledetto United e Il discorso del re) nel ruolo del maggiordomo Alistair Gregory e Sally Hawkins (Blue Jasmine, Godzilla e La forma dell’acqua) nel ruolo di Maggie, la cameriera personale di Diana.

Non mi resta che lasciare a voi il giudizio finale.
Qualcuno l’ha visto?
Aspetto i vostri commenti. ^_^
Alla prossima ♥

Un amore di città – Atto 1

Conoscendo il triestino medio probabilmente sarebbe seccato al pensiero di avere in giro troppi turisti, ma ormai sono diversi anni che vado periodicamente in questa città ed ogni volta, trovo un motivo in più per amarla.

Trieste è piccola, ma ha tutto: teatri, cinema, locali, negozi di ogni genere, cartolerie enormi che, per gli amanti della cancelleria come me, è come entrare in Paradiso e poi il mare… Puoi non amare il caldo, puoi non amare fare il bagno in esso o, come dicono qui, andare al bagno e stare a mollo per ore… ma il mare come elemento, come spettacolo della natura non puoi non amarlo. Forse sono io ad essere troppo sempliciotta, ma ogni volta che mi trovo davanti a una parete rocciosa di montagna o a uno specchio d’acqua del mare, ne resto incantata. Ammirerei immobile quello spettacolo di colori e forme per ore, la beatitudine che mi trasmettono, non ha prezzo ed è difficile da spiegare a parole perché credo che per ognuno di noi sia diverso e unico.
E poi ci sono i musei, le chiese…
Per chi ama l’arte e la storia in ogni sua forma (io non proprio tutto, ma non sono perfetta, lo sapete), Trieste è un piccolo gioiellino tutto da scoprire e la cosa davvero interessante è che alcune di queste massime artistiche e architettoniche sono gratis! Sì, avete capito bene, GRATIS! In musei come il Civico d’Arte Orientale o il Sartorio, non viene chiesto nessun biglietto d’ingresso ma solo una libera offerta nel caso abbiate uno spicciolo da donare per una giusta causa, la cultura. Un bene prezioso che soprattutto in questa epoca super tecnologica, viene spesso e volentieri messa da parte, sacrificata per qualcosa di più futile.

State scoprendo una Shio più secchiona?

No, non è proprio così. Ma sono di quelli che pensa che senza il nostro passato, non possiamo capire il presente e guardare al futuro. I beni culturali… l’Italia è piena di queste cose, ci sono città come Firenze, Venezia, la mia Torino… in ogni città che vai, trovi un pezzo di storia, una testimonianza concreta di quanto il popolo italiano è stato grande e potrebbe ancora esserlo se solo fosse possibile…

Se poi siete disposti a investire una piccola cifra, ed è davvero piccola se si pensa ai grandi musei delle grandi città, ci sono anche il Museo Revoltella con la visita agli appartamenti da mozzare il fiato e il castello di Miramare con i suoi giardini immensi (gratis) e il castello il cui interno è un piccolo gioiellino tutto d’ammirare.

Bene, adesso vi lascio alcune foto tratte dai musei sopracitati e prese da internet, buona visita virtuale e chissà che un giorno non possiate ammirare tutto questo splendore di persona.

Big kiss. ♥

Galleria immagini:
(tutte le immagini sono prese da Google, per tanto potrebbero essere soggette a copyright.)

*Museo Civico D’Arte Orientale*
(dose sono presenti molte tavole del maestro Hokusai)

*Museo Revoltella*
(visitabile con una cifra davvero molto contenuta)

*Museo Civico Sartorio*
(gratuito)

*Castello di Miramare*
(visitabile con biglietto acquistabile)

PS: Una doverosa precisazione. Non so se questi musei solo solitamente gratis o se non abbia pagato perché mi sono recata lì in un determinato periodo dell’anno, né se alcuni di essi aprono solo periodicamente ai visitatori ma se vi capita di recarvi a Trieste e avete un po’ di tempo per visitare la città, cercate queste chicche, sono meravigliose e riempiono gli occhi oltre che il cuore.

Avrei potuto usare le foto che ho scattato personalmente (dov’era possibile, ovviamente), ma ci tenevo che le immagini fossero di una certa qualità, pertanto le ho prese in prestito dal web, fermo e restando che questo articolo non è in alcun modo a scopo di lucro, anzi, è solo un omaggio a una città che merita di essere scoperta e amata.

E per ora è tutto, alla prossima. ♥